Venerdì ore 12: arriva l’ultima paziente della mattina. La conosco da tempo e oggi mi sembra preoccupata. “Dottoressa al supermercato non ho trovato più il disinfettante in gel per le mani che usavo quando andavo in vacanza… Ora cosa posso fare? Se diluisco un po’ candeggina può funzionare?”.
La guardo negli occhi e comprendo la sua apprensione: è una paziente con dermatite atopica e una lieve forma d’asma che oggi (visto la vulnerabilità dei soggetti asmatici al Covid19), si preoccupa di non contrarre la malattia.
In questi giorni spopolano ricette sul web che, nella migliore delle ipotesi, sono inefficaci, quando invece non provocano dei danni alla pelle per l’aggiunta di acidi.
Cosa suggeriamo? In estrema sintesi tre cose.
Primo: #iorestoacasa. Limitare il più possibile contatti sociali può davvero fare la differenza in presenza di un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto stretto con una persona malata. “La via primaria – spiega Magda Belmontesi, dermatologa a Milano e Vigevano – sono le ‘goccioline del respiro’ delle persone infette, tramite la saliva, tossendo e starnutendo, i contatti diretti personali, le mani, toccandosi bocca, naso o occhi senza averle deterse prima”.
Secondo: #lavalemaniconilsapone. E per venti secondi. Il motivo lo spiega Palli Thordarson, docente di chimica alla University of South Wales di Sidney. Che, su Twitter, definisce il virus una sorta di ‘pallina nanometrica di lipidi’. “Quelle stesse molecole di grasso che sono target preferenziale dei tensioattivi dei comuni saponi”, spiega Belmontesi.
Il coronavirus è infatti una nanoparticella tra gli 80 e i 160 nanometri (un nanometro è pari a milionesimo di millimetro) composta da tre componenti essenziali: RNA (ovvero il suo materiale genetico), lipidi e proteine. Queste ultime servono al virus per introdursi nelle cellule dell’organismo aggredito, mentre i lipidi formano una membrana protettiva che serve per la loro propagazione.
Ebbene la buona notizia, sostiene Thordarson, è che questa membrana che contiene l’RNA non sia così efficiente, come invece quella delle nostre cellule. E qui entra in gioco il sapone. Che dissolve letteralmente la membrana lipidica, dissolvendo e rendendo inattivo il virus.
“Il tensioattivo (di cui è composto il sapone) – spiega Belmontesi è una molecola dotata di due estremità: l’idrofila (testa) e l’idrofoba (coda). Quest’ultima lega le sostanze grasse che poi vengono eliminate dalla parte ‘amica’ dell’acqua, durante il risciacquo. Lavandosi le mani con il sapone i tensioattivi distruggono la membrana del virus, disintegrandolo”.
“Attenzione – avverte il professor Thordarson – perché ciò avvenga serve dare il tempo al sapone di agire, lavandosi le mani per un tempo stimato intorno (e non inferiore) ai venti secondi”.
Terzo: #occhioalviso. Ci sono gesti che possono salvarci la vita, come ad esempio mimare un sos quando siamo in pericolo. Ma anche astenersi da farne alcuni può essere utile.
È il caso delle innumerevoli volte in cui ci tocchiamo il viso, in media 23 ore all’ora, hanno calcolato i ricercatori dell’Università di Sydney, soprattutto occhi, naso o bocca. “In tempi di coronavirus – ribadisce la dermatologa – la terza regola raccomandabile (se non obbligatoria), dopo lavarsi le mani è proprio non toccarsi viso, soprattutto occhi, naso, bocca”.
Mettere le mani sul volto sembra (secondo le ricerche in campo) un gesto spontaneo legato alle emozioni, come ansia e sensazione di disagio, ma anche per concentrare l’attenzione su un compito specifico.
Che fare? Proviamo a riassumere:
- limitare le esposizioni,
- lavarsi le mani per 20 secondi con il sapone,
- e farsi una carezza, limitandosi alle guance, teneramente, per rassicurarsi.
- Infine avere fiducia nella scienza. E coscienza: NON propagare il virus. Se non si propaga, cessa di esistere.