Fino ad oggi la domanda se la luce blu sia dannosa o meno ha preoccupato solo i dermatologi, mentre le aziende si sono concentrate soprattutto sui pericoli per la vista, la memoria e il sonno, facendo uscire sul mercato ‘scudi’ da posizionare sugli schermi dei Pc. È noto, infatti, che il nostro ritmo circadiano è controllato dalla luce blu che viene assorbita dai fotorecettori nell’occhio con conseguente diminuzione della produzione di melatonina che, a sua volta, genera problemi di insonnia.
Ora il ‘beauty buzz’ si è spostato verso l’invecchiamento della pelle, aggiudicandosi l’attenzione del marketing delle industrie cosmetiche. Così la luce blu è destinata a diventare una parola d’ordine così importante come lo è stata l’Spf all’inizio degli anni ’90.
In risposta all’esposizione alla luce solare, la pelle aumenta lo spessore dello strato superiore di cellule devitalizzate, lo strato corneo, che agisce come una sorta di specchio che riflette e rifrange le radiazioni UVA e UVB. L’epidermide, comunque, contiene anche una varietà di macromolecole, tra cui RNA, DNA e proteine, ​​che assorbono in modo efficiente i fotoni UVB. Queste macromolecole, però, sono meno efficaci nell’assorbire le radiazioni UVA che, così, penetrano nel derma.
Pochissima radiazione visibile e infrarossa viene assorbita dall’epidermide o dal derma e quindi può penetrare indisturbata in profondità nella pelle. Ciò che accomuna ultravioletti e luce è la produzione di radicali liberi, con gli UV che generano il 67% mentre la luce visibile il 33%. La luce visibile con una lunghezza d’onda compresa tra 400 e 500 nanometri, quindi quella del colore blu e violetto, incrementando la concentrazione di specie reattive dell’ossigeno può portare a mutazioni del DNA e alle proteine nella pelle.
Non solo, influisce anche sulla pigmentazione della pelle, tanto che spesso può non essere sufficiente usare un filtro solare con SPF50 per schermarsi dai suoi effetti. Di recente molti studi ne hanno rilevato l’effetto sul colore della pelle.
Spiega Magda Belmontesi, dermatologa a Milano e Vigevano: “Bassel H. Mahmoud, del Multicultural Dermatology Center, Henry Ford Hospital di Detroit, ha comparato la qualità della pigmentazione indotta da Uva e quella da luce visibile in soggetti con fototipi mediamente scuri (da IV a VI), notando che mentre la prima svanisce in breve tempo, la seconda dura fino a 2 settimane”.
“Di recente si è visto però che anche in fototipi molto chiari (come I e II) un’esposizione prolungata alla luce visibile genera un colore scuro e durevole. Inoltre, i colori della luce hanno effetti diversi. Uno studio pubblicato su Pigment Cell Melanoma Research nel 2014 attesta che, a differenza delle luce rosso-arancio (630 nm), quella blu-violetto (415 nm) causa un’iperpigmentazione che dura fino a 3 mesi sia in nei fototipi III che IV. E, come si diceva, oltre a incrementare discromie, come melasma e iperpigmetazioni post-infiammatorie, queste lunghezze d’onda sono causa di stress ossidativo, eritema e invecchiamento cutaneo precoce”.
La luce visibile, infatti, incrementa la produzione di particolari enzimi, le metalloproteinasi, che distruggono il collagene (meccanismo coinvolto nel foto-aging) e aumentano la produzione di citochine con effetto infiammatorio.
Come salvare la pelle? In questo caso sono utili filtri solari ad ampio spettro, che offrono una buona protezione contro i raggi Uvb e Uva, e possibilmente con filtri fisici, come ossido di zinco e biossido di titanio micronizzati, che riflettono la luce come piccoli specchi.
In & out
Sistemi filtranti con anti-ossidanti, invece, proteggono contro gli esisti degli infrarossi. “Esattamente – continua Belmontesi. Infatti i filtri non riescono a proteggere la pelle dagli infrarossi e dalla luce emessa dagli schermi. L’unica soluzione, al momento, è l’utilizzo di antiossidanti, ogni giorno, sia sotto forma di cosmetici da applicare sulla pelle, sia sotto forma di micronutrienti da assumere con l’alimentazione”.
E per dare una mano alla pelle, nei periodi più duri, come appunto i mesi estivi, si può ricorre agli integratori. Gli antiossidanti migliori? “Al momento non ci sono evidenze scientifiche che attestano la soluzione ideale”.
“Certo è che alcune combinazioni di vitamine e antiossidanti hanno dimostrato una selettività più specifica, come ad esempio il mix tra vitamina C ad alta concentrazione (in forma di acido L Ascorbico, la sua forma più attiva) e vitamina E (meglio se in forma di tocoferolo). Poi contano efficienti antiossidanti come l’acido ferulico e la floretina, l’acido lipoico e il coenzima Q10, infine luteina, licopene e betacarotene”.
La nostra scelta
Phloretin CF di SkinCeuticals è un siero ideale per tutti i tipi di pelle, in modo particolare da normale a mista. Una specialità antiossidante che crea una barriera protettiva contro i radicali liberi causati dai fattori ambientali, quali smog, raggi UVA e UVB. Usato in combinazione con un filtro solare, protegge dal rischio di eritema UV indotto.
Heliocare 360° 100+ Gelcream è fotoprotettore pensato per chi è più esposto a eritemi, danno attinico o macchie solari. La formula è stata pensata affinché la sua formulazione garantisca la massima protezione: con una texture in gel extra-fondente, consente un’applicazione facile e uniforme mantenendo la pelle morbida ed idratata.